Spesso di ausilio e di supporto agli uomini nell’organizzazione delle attività legate all’alpeggio ed alla transumanza, talvolta sulle donne gravava la totale gestione dei campi e la responsabilità della famiglia. Le donne sono indubbiamente un elemento cruciale nelle comunità delle Alpi, e si dice che “dove le donne se ne vanno la montagna muore”, a conferma dell’importanza del ruolo femminile, di creare famiglie, di continuare la vita, di tramandare le tradizioni locali, culinarie, di costumi, di leggende.
Determinazione, coraggio, ostinazione e passione sono caratteristiche endemiche del rapporto che le donne delle Alpi hanno proprio con la montagna, un rapporto colto anche da molti scrittori ed artisti.
Quel rapporto particolare che per tanti pittori simbolisti rasenta l’atmosfera di un eden alpestre, si scontra con il modo realistico e crudo con cui Erika Hubatschek, geografa austriaca, ha raccolto per oltre 60 anni sulla vita ed il lavoro dei contadini di montagna di cui era particolarmente interessata attraverso scatti fotografici. Storie di uomini ma anche di tante donne. Con nomi e volti diversi.
Sono salighe, salvarie, anguane, ninfe, donne sagge, selvatiche, guaritrici ma sempre protagoniste delle leggende alpine e dolomitiche.
Le donne delle Alpi, vocazione ed entusiasmo
Le donne sono in grado di dialogare con la montagna ed hanno un rapporto diretto ed esclusivo basato sulla forza fisica e sul rispetto, sulla sopportazione e sulla determinazione. Oggi le donne in montagna sono protagoniste, e spesso svolgono attività economiche diversificate con vocazione ed entusiasmo, contribuendo e favorendo lo sviluppo delle loro comunità dal punto di vista socio-economico e con soluzioni innovative.
E proprio in questo momento dell’anno in cui si festeggia la Festa della Donna, vogliamo raccontare storie di donne che sperimentano soluzioni lavorative per mantenere vivo il loro rapporto con la montagna.
La pastora Maria Cheyenne Daprà, dopo aver lavorato come transumante nella Foresta Nera in Svizzera, decide di vivere nella Val di Rabbi ed allevare un gregge di pecore con il quale prendersi cura del paesaggio. Infatti portando al pascolo il gregge, provvede al mantenimento delle malerbe ed alla concimazione del terreno ammortizzando i costi per la manutenzione del verde in modo del tutto innovativo. Un concetto nuovo di sostenibilità sociale ed ambientale che rende la scelta di Cheyenne straordinaria pur svolgendo un lavoro umile e normale. La vita di Cheyenne, basata sulla solitudine e sul duro lavoro di accudire le pecore e seguirle nella transumanza, è diventato un film-documentario, “Cheyenne, trentanni” di Michele Trentini. La scelta di vivere in montagna e lavorare con le pecore rappresenta una decisione coraggiosa e non convenzionale ed esula dalle scelte generazionali attuali e dagli obblighi e dalle costrizioni tipiche delle generazioni passate. Ma la forza e l’eccezionalità della scelta di Cheyenne consistono anche sulla libertà di poter scegliere cosa fare e dove farlo.
Cinzia Corradini è una feltraia di professione e vende i suoi lavori artigianali, cappelli, stole, quadri decorativi, nella sua piccola bottega chiamata “Il Melograno” a Cavalese.
Cinzia ha recuperato un mestiere tradizionale e tipico della sua valle, ovvero lavorare la pregiata tingola ed ha trasformatola la sua vocazione artistica e manualità in lavoro contribuendo all’economia della valle. Cinzia alleva un piccolo gregge di pecore di specie protetta che accudisce e tosa con dedizione e da cui trae la lana e la pregiata tingola che trasforma in oggetti artistici che vende alle turiste o nelle fiere e nei mercatini vicini. La sua vita è faticosa e dura anche perché i guadagni non sono altissimi ma la soddisfazione è tanta soprattutto perché anche lei ha scelto liberamente dove vivere e di cosa occuparsi oltre a contribuire e favorire l’attività artigianale nella sua comunità.
Michela Luise, Federica Aste e Marlene Vettori sono tre donne che con 13 asini vivono in Trentino nella ristrutturata Villa di Lagarina seguendo le regole di una vita slow e con l’ausilio di un animale slow. Le donne, infatti, sulla scia dello slow food, propongo una vita basata sulla lentezza e la ponderazione e quindi divulgano la slow life. La decisione di vivere in montagna nasce anche dalla voglia di occuparsi dello sviluppo sostenibile ed intelligente di zone marginali e con l’impiego di un animale insolito, il ciuco. L’asino, infatti, è un animale tranquillo esente da particolari prestazioni o performance, un animale lento e con un andatura buffa ma ideale sui lunghi tragitti, inoltre è utile per la pulizia del territorio. Tutte queste caratteristiche influenzano ed apportano uno stile di vita diverso, ovvero l’andare piano e l’impiego dell’asino nelle passeggiate e nel trekking. Il progetto basato sull’onoterapia e quindi sugli aspetti curativi dell’asino si rivolge ai bambini ed agli adulti con grave disabilità sociale, i quali vengono ospitati nella struttura ricettiva con lo scopo di conoscere il territorio e raggiungere un benessere psico-fisico.
Le donne delle Alpi al Riglarhaus
E ci piace ricordare tra le donne delle alpi anche nonna Caterina, Eliana, Sonia, Ferry,e Anna, le donne del RiglarHaus, che sotto la sapiente direzione di Paola Schneider mantengono viva una tradizione di ospitalità nella frazione Lateis di Sauris con orgoglio e passione, che porta crescita e sviluppo. E proprio Paola e il suo team hanno preparato anche quest’anno un’offerta dedicata alle donne e a tutti coloro che le festeggiano per un’occasione indimenticabile.
Auguri a tutte le donne delle Alpi, che donne!